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Autore: Ortopedico Italia

Lesione del legamento crociato posteriore: cos’è e cosa fare

Il legamento crociato posteriore è uno dei legamenti più resistenti del ginocchio e si sviluppa tra il femore e la tibia, con il ruolo di stabilizzatore del ginocchio impedendo la traslazione posteriore del piatto tibiale e un’eccessiva rotazione esterna del ginocchio.

Questo legamento collabora con il crociato anteriore per garantire la stabilità dell’articolazione ed è costituito da una parte antero-laterale ed una postero-mediale.

Lesione del legamento crociato posteriore: le cause

La lesione del legamento del crociato posteriore rappresenta il 10% dei casi di lesioni che interessano l’articolazione del ginocchio, verificandosi sempre in seguito a traumi ad alta energia.

Il caso più frequente riguarda incidenti automobilistici, in cui la parte superiore della tibia va ad urtare molto violentemente contro il cruscotto dell’autovettura.

Un’altra causa della lesione del legamento del crociato posteriore è da ricercare negli sport di contatto come rugby, l’hockey, etc. e dai forti traumi al ginocchio o alla parte superiore della tibia che ne possono derivare.

Lesione del legamento crociato posteriore: sintomi e diagnosi

In caso di lesione del legamento crociato posteriore i sintomi dipendono dall’entità della lesione. Come succede per le lesioni del legamento crociato anteriore, possono verificarsi dolore e difficoltà nel compiere i movimenti o nello stare per troppo tempo in posizione eretta, oltre ad una sensazione di rottura interna all’articolazione durante il trauma.

Nel caso in cui la lesione fosse di grave entità, si possono riscontrare problemi di instabilità articolare, soprattutto in presenza di ulteriori lesioni associate.

Per diagnosticare la lesione del legamento crociato posteriore, lo specialista dovrà valutare lo scivolamento posteriore della tibia rispetto al femore e la lassità legamentosa del ginocchio. La visita sarà associata e supportata da esami strumentali come una radiografia, risonanza magnetica o TC al fine di valutare la presenza di ulteriori fratture o lesioni ossee o legamentose.

Lesione del legamento crociato posteriore: trattamenti

I trattamenti per le lesioni del legamento crociato posteriore possono essere di tipo conservativo o chirurgico. L’approccio conservativo consiste in un’efficace fisioterapia e l’utilizzo di tutori, riuscendo spesso a favorire la riabilitazione e il recupero delle funzionalità del ginocchio. L’efficacia del trattamento fisioterapico è dovuta al fatto che il crociato posteriore, a differenza di quello anteriore, possiede buone capacità di guarigione.

Nel caso in cui si verifichi la rottura completa del legamento o l’inefficienza dell’approccio conservativo si procede con l’intervento chirurgico, soprattutto se il paziente è un giovane sportivo. L’operazione è eseguita con tecnica artroscopica, che si esegue in anestesia loco-regionale con minima invasività. La tecnica a cielo aperto non è più utilizzata se non in casi di lussazione della rotula o lesioni alla capsula articolare.

Si sostituisce il legamento rotto con un neo-legamento e si procede con l’asportazione dei residui del legamento rotto, vengono realizzati i tunnel ossei in femore e tibia per il neo-legamento, che verrà inserito e fissato. il neo-legamento può essere sia un tendine prelevato dallo stesso paziente o un tessuto proveniente da un donatore di organi.

Lesione del legamento crociato posteriore: riabilitazione

La riabilitazione post-operatoria è un tassello fondamentale per la ripresa della mobilità articolare e per la buona riuscita dell’intervento. Le tecniche riabilitative variano a seconda della tecnica operativa utilizzata: è importante che la mobilizzazione sia continua, pur tenendo sotto controllo il dolore.

Lo step successivo è mirato alla tonificazione muscolare e alla deambulazione. I tempi di guarigione variano a seconda delle condizioni articolari e, in generale il paziente inizia a deambulare con l’ausilio di doppio bastone dopo 2/3 giorni e impiega circa 45 giorni per deambulare correttamente e in modo autonomo mentre, per la ripresa dell’attività sportiva bisogna attendere un periodo di circa 6 mesi.

Infiammazione del Bicipite Brachiale: cause, sintomi e trattamenti

La struttura del bicipite brachiale: un approfondimento

Il nostro corpo è una macchina perfettamente progettata, composta da componenti complessi che lavorano insieme. Prendendo in considerazione il braccio, troviamo il bicipite brachiale, un muscolo chiave nella funzionalità dell’arto superiore. Questo muscolo si divide in due parti: il capo lungo, situato lateralmente, e il capo breve. Il capo lungo, proveniente dalla capsula articolare, si collega direttamente alla scapola, mentre il capo breve si origina dal processo coracoideo della stessa scapola.

Entrambi i capi si fondono per creare un singolo ventre muscolare, determinando la capacità di flessione e supinazione dell’avambraccio, di flessione del braccio, e di una serie di movimenti della spalla, tra cui estensione orizzontale, adduzione, abduzione e rotazione interna.

Ti potrebbe anche interessare l’articolo di approfondimento sull’infiammazione del capo lungo del bicipite

Infiammazione del Bicipite Brachiale: Cause e Manifestazioni

A volte, il capo lungo del bicipite può subire un processo infiammatorio, condizione nota come tenosinovite. Questo disturbo può derivare da un uso eccessivo, un sovraccarico, o piccoli traumi ripetuti, spesso correlati ad attività fisiche o sportive.

I sintomi possono variare ampiamente, includendo dolore acuto, rigidità, sensazione di gonfiore o calore, limitazione nei movimenti, debolezza muscolare, contrattura del bicipite brachiale, rumori nell’area anteriore della spalla e la possibile formazione di un ematoma.

Trattamenti per l’Infiammazione del Bicipite Brachiale

Il trattamento per la tenosinovite del capo lungo del bicipite varia a seconda della posizione e della gravità del danno. Nel caso di lesioni distali, si preferisce un intervento chirurgico, seguito da un periodo di riposo e un programma di fisioterapia. Per le lesioni prossimali, invece, si adotta un approccio conservativo con fisioterapia e terapie strumentali.

Rieducazione Muscolare: Esercizi Benefici

La fisioterapia può svolgere un ruolo importante nel trattamento di questo disturbo. Gli esercizi mirati, progettati per migliorare la mobilità e la forza, possono contribuire a ridurre il dolore e accelerare il recupero.

Precauzioni nell’Esercizio Fisico

Anche se l’esercizio è fondamentale, è altrettanto importante conoscere i limiti. Quando si tratta di un muscolo infiammato, dovrebbero essere evitati movimenti che causano dolore o disagio. Il riposo è fondamentale, così come la riduzione dell’intensità dell’esercizio.

Ricerca di Assistenza Medica

Se stessi affrontando problemi persistenti legati al tuo bicipite brachiale, potrebbe essere il momento di consultare un esperto. Sul nostro portale, avrai accesso ai migliori ortopedici delle principali città italiane. Non esitare a contattarli per una consulenza: la tua salute è la nostra priorità.

Capo Lungo del Bicipite: infiammazione e cura

Anatomia della spalla

La spalla è una struttura complessa, protagonista di un’infinità di movimenti. Al suo interno, il bicipite brachiale riveste un ruolo essenziale. Questo muscolo è suddiviso in due parti principali: il capo lungo e il capo breve.

Il capo lungo del bicipite si situa lateralmente, originando dalla capsula articolare. Nasce, infatti, dal tubercolo sovra-glenoideo della scapola e dal labbro glenoideo attraverso il suo tendine. D’altro canto, il capo breve deriva dall’apice del processo coracoideo della scapola.

Queste due parti si uniscono per formare un unico ventre muscolare vicino al terzo mediano del braccio. Questo muscolo consente una serie di movimenti, tra cui la flessione e supinazione dell’avambraccio, flessione del braccio, estensione orizzontale, adduzione, abduzione e rotazione interna del braccio.

Cause dell’infiammazione del Capo Lungo del Bicipite

La tenosinovite del capo lungo del bicipite si verifica quando questo muscolo si infiamma. Ciò può accadere a causa di un uso eccessivo, di sovraccarico o di microtraumi, specialmente durante movimenti ripetitivi o attività sportive intense.

Sintomi e diagnosi

I sintomi dell’infiammazione possono variare a seconda dell’entità del danno. Possono essere costanti o manifestarsi prima o dopo l’attività fisica. Alcuni dei sintomi più comuni includono dolore acuto durante i movimenti, rigidità dell’arto, sensazione di gonfiore, calore e bruciore, limitazione nei movimenti, debolezza muscolare, contrattura del bicipite brachiale, rumori nella parte anteriore della spalla e possibile presenza di ematoma.

Trattamenti

Il trattamento dipenderà dalla localizzazione e dalla gravità della lesione. Nel caso di lesioni distali, l’approccio preferito è l’intervento chirurgico, seguito da un periodo di immobilizzazione e fisioterapia. Per le lesioni prossimali, si tende a optare per un trattamento conservativo, basato su fisioterapia riabilitativa e terapie strumentali.

Chirurgia

La chirurgia può essere considerata se i metodi conservativi non danno risultati, o se la lesione è particolarmente grave. L’obiettivo della chirurgia è di ripristinare la funzionalità normale del bicipite, alleviare il dolore e prevenire ulteriori danni.

Capolungo del bicipite esercizi

Nel caso di infiammazione del capo lungo del bicipite, esistono esercizi specifici che possono aiutare a migliorare la mobilità e la forza. Ad esempio, un esercizio consigliato prevede di portare le spalle indietro, portando la testa all’indietro e aprendo la bocca, così da fare arretrare ulteriormente la testa. In questa posizione, si uniscono le spalle, ruotando le mani verso l’esterno e i pollici all’indietro e mantenendo la posizione per qualche secondo per cinque ripetizioni.

Capolungo del bicipite esercizi da evitare

Se hai un’infiammazione del capo lungo del bicipite, non ci sono esercizi specifici da evitare. Tuttavia, è importante sapere che ridurre i movimenti e osservare un adeguato periodo di riposo è fondamentale. Nonostante il dolore, non eliminare mai del tutto il movimento, limitandosi a ridurli, come serie, come peso e come intensità.

Prevenire l’infiammazione della spalla

La prevenzione dell’infiammazione del capo lungo del bicipite include un corretto riscaldamento prima dell’esercizio, una buona tecnica durante l’attività fisica e l’allenamento, e un adeguato periodo di recupero tra gli allenamenti. È anche importante mantenere una buona postura e un corretto equilibrio muscolare.

Se stai sperimentando problemi persistenti con il tuo bicipite, ti consigliamo di contattare uno specialista. Nel nostro portale, puoi trovare i migliori ortopedici, selezionati dalle principali città italiane. Non esitare a contattarli per una consulenza. La tua salute è la nostra priorità.

Come risolvere una lussazione della spalla

In caso di paziente con lussazione alla spalla, il personale medico deve essere pronto a intervenire per ridurre il dolore ed effettuare il corretto intervento di riposizionamento della testa dell’omero.

A seconda del tipo di lussazione diagnosticata, anteriore, posteriore, completa o parziale, gli operatori potranno trovarsi nella situazione di dover utilizzare antidolorifici o analgesici, nonché bende e altri strumenti atti a immobilizzare l’articolazione e accelerare la guarigione.

Tutta l’attrezzatura e gli strumenti utili per effettuare rapidamente il riposizionamento e l’immobilizzazione della spalla potranno essere acquistati presso un rivenditore specializzato come medicalcenteritalia.it, leader del settore dal 1974. Consultando il vasto catalogo online, il medico ha la possibilità di individuare rapidamente i prodotti di cui potrà avere bisogno presso lo studio medico, l’ambulatorio o l’ospedale, al fine di mettere in atto interventi mirati.

Lussazione della spalla: procedimento diagnostico

In molti casi, l’ortopedico è in grado di eseguire la diagnosi di lussazione tramite anamnesi, osservazione diretta del problema e palpazione dell’area danneggiata, senza bisogno di ricorrere ad attrezzature specialistiche.

In particolare, valuterà le caratteristiche con cui si manifesta il dolore, il tipo di trauma che lo ha generato, la mobilità articolare e la presenza di patologie osteo-articolari pregresse.

Laddove temesse la presenza di lesioni profonde che coinvolgano vasi sanguigni e nervi, in presenza di danni ad altre articolazioni o fratture ossee, nonché per classificare correttamente la tipologia di lussazione presente, il medico potrebbe altresì decidere di ricorrere a esami diagnostici per immagini, in particolare radiografia e risonanza magnetica.

In casi specifici, potrebbe essere inoltre richiesta l’esecuzione di una TAC.

I trattamenti per risolvere la lussazione alla spalla

Il trattamento d’elezione per la lussazione della spalla consta generalmente di due fasi:

  • il contenimento del dolore;
  • la sistemazione della testa dell’omero nella cavità glenoidea.

La terapia sintomatica prevede la somministrazione al paziente di farmaci antinfiammatori non steroidei e analgesici.

La seconda fase varierà in base alla tipologia e al livello di lussazione diagnosticata. Una lesione di Bankart derivante dal distacco o dalla mobilitazione del cercine glenoideo in seguito a trauma tenderà ad esempio a cicatrizzare autonomamente, ma in assenza di una manovra di riduzione effettuata da personale esperto, tenderà a recidivare, aumentando il danno articolare.

L’effettuazione della manovra di riduzione della lussazione della spalla deve essere effettuata entro un massimo di 48 ore dal verificarsi del trauma, così da garantire una corretta ripresa della mobilità articolare e limitare il rischio di complicazioni derivanti da danni secondari a nervi e strutture vascolari.

Quando è necessario mettere in atto pratiche dolorose, ma anche per limitare gli spasmi muscolari e aiutare i pazienti a rilassarsi, il medico può decidere di ricorrere ad analgesia procedurale o a sedazione.

Laddove radiografia e risonanza magnetica avessero portato al rilevamento di danni profondi o complicazioni quali fratture ed emorragie, il paziente dovrebbe essere sottoposto a intervento chirurgico effettuato con tecnica tradizionale o in artroscopia. Nel corso dell’operazione potrebbe essere necessario applicare placche o viti per migliorare la stabilità articolare e ridurre il rischio di ricadute.

Le principali tecniche di riduzione delle lussazioni alla spalla

Le manovre di riduzione delle lussazioni che interessano la spalla sfruttano principalmente la rotazione esterna e la trazione di tipo assiale. La scelta della tecnica più adatta dipende dalla diagnosi e dallo stato in cui si presenta il paziente; per questo motivo il medico dovrebbe avere dimestichezza con più tecniche.

Tra le più sicure e utilizzare per il trattamento delle lussazioni che interessano la spalla anteriore rientrano:

  • l’autoriduzione di Davos;
  • la tecnica FARES;
  • la tecnica di Stimson;
  • la manipolazione scapolare;
  • la rotazione esterna;
  • la trazione-controtrazione.

Lussazioni posteriori e inferiori vengono invece trattate generalmente con la sola trazione-controtrazione.

In tutti i casi, il trattamento deve essere eseguito il prima possibile, entro una trentina di minuti dalla diagnosi.

Immobilizzazione della spalla e post-operatorio

Al termine del trattamento di riduzione della lussazione, il medico deve provvedere a bloccare l’articolazione al fine di:

  • evitare la fuoriuscita della testa dell’omero;
  • ridurre il rischio di ulteriori traumi;
  • favorire il processo di guarigione.

A tal fine, potranno essere utilizzati bendaggio elastico e tutore per spalla, i quali dovranno essere mantenuti in posizione per circa venti giorni o a discrezione del medico curante.

Strumenti e accessori per lussazioni alla spalla

La lussazione alla spalla è un evento comune e richiede un intervento immediato. Per poter intervenire prontamente, il medico deve avere a disposizione tutto l’occorrente per:

  • effettuare una diagnosi immediatamente;
  • ridurre il dolore e, se necessario, sedare il paziente;
  • curare eventuali ferite;
  • effettuare la manovra di riduzione più adeguata;
  • intervenire a livello chirurgico;
  • immobilizzare l’articolazione.

Risultano dunque indispensabili, oltre alle strumentazioni per la diagnostica per immagini, disinfettanti, kit per suture, bendaggi elastici, tutori e strumentazioni chirurgiche. Tutti gli strumenti e i prodotti devono essere di elevata qualità e garantire un utilizzo sicuro per la salute del paziente.

Frattura di colles: cos’è, diagnosi e cura

Il radio è una delle due ossa che compongono la struttura scheletrica dell’avambraccio. La lesione dell’estremità distale, ovvero della sezione più vicina alla mano, è definita frattura di Colles e comporta un’impossibilità di movimento dell’articolazione del polso.

Diverse sono le cause che influiscono su questa condizione e quindi le cure a cui si ricorre per la risoluzione ottimale della frattura di Colles al fine di riportare la struttura ossea nella corretta funzione. Sulla base della diagnosi il medico ortopedico sceglierà la terapia e la cura più idonea.

Per comprendere meglio la frattura di Colles è necessario dedicare la giusta attenzione alla stessa.

Frattura di Colles: cos’è

Frattura di Colles è così definita in onore del chirurgo irlandese Abraham Colles che, nel 1814, individuò per primo questo tipo di infortunio osseo senza avvalersi della radiografia, all’epoca non ancora disponibile.

Ad oggi, quando si parla di frattura di Colles, si identificano tutte le fratture relative all’estremità distale del radio. Questo osso costituisce con l’ulna lo scheletro dell’avambraccio. La frattura in questione comprende tutte le lesioni di quello definito polso, ovvero quella comprensiva del carpo scafoide e semilunare.

Questa lesione è conosciuta anche con altri nomi tecnici, quali frattura trasversa del polso, frattura del radio distale, frattura “a baionetta” e frattura “a dorso di forchetta”. È caratterizzata da un dolore persistente che impedisce a chi ne è colpito di afferrare oggetti senza avvertire un dolore. Può inoltre presentarsi anche un gonfiore e un’ecchimosi nella zona interessata.

Le cause della frattura

Le cause che possono provocare la cosiddetta frattura di Colles sono molteplici, complice la sensibilità delle ossa interessate dalla stessa. Una delle più frequenti è il trauma provocato da una caduta accidentale in seguito alla quale il paziente ha provato a proteggersi sporgendo le mani in avanti per evitare l’impatto.

È fondamentale comprendere che non è la semplice caduta a provocare la lesione, in quanto questa può essere aggravata da numerosi fattori, biologici e no, che comportano un indebolimento della struttura ossea. La frattura di Colles può infatti essere aggravata dall’età avanzata o troppo giovanile, due porzioni di tempo in cui le ossa sono più deboli e quindi più soggette a fratture, ma anche dall’osteoporosi, una malattia del sistema scheletrico che comporta un indebolimento dello stesso. Anche la pratica sportiva di determinate discipline aumenta il rischio di possibilità di frattura di Colles in quanto è più probabile rischiare una caduta in avanti. Anche la carenza di vitamina D e di calcio all’interno dell’organismo può provocare una fragilità ossea che comporta una tendenza alle fratture.

La diagnosi e la cura della frattura di Colles

Se in seguito ad una caduta si verifica una situazione di dolore e gonfiore in prossimità del polso è indicato procedere con una diagnosi accurata finalizzata all’identificazione della frattura di Colles. Questa, con i moderni mezzi ospedalieri a nostra disposizione, può facilmente essere individuata in seguito ad una radiografia a raggi X.

Accertata la presenza della frattura, si procede secondo la gravità della stessa optando per la terapia conservativa o chirurgica. La prima è adottata in casi di frattura di Colles di non grave entità e che quindi non comportano una lesione scomposta o leggermente tale delle ossa e che quindi può essere risolta con una piccola manipolazione. In questo caso si procede con l’immobilizzazione attraverso l’ingessatura tra mano e avambraccio al fine di impedire al paziente movimenti che potrebbero peggiorare la sua condizione.

Il trattamento chirurgico è invece adottato in casi di lesione gravi, ovvero quando la frattura è molto scomposta e richiede un intervento più delicato per il corretto riposizionamento delle ossa, anche supportato dall’adozione di placche o viti. In seguito a questo si utilizza il gesso per immobilizzare il polso.

In entrambi i casi si necessita di una successiva riabilitazione fisioterapica per recuperare la corretta funzione anche muscolare.

Frattura ulna e radio: trauma osseo negli adulti e nei bambini

Nel nostro precedente articolo abbiamo approfondito il tema riguardante la frattura all’epifisi distale del radio, sottolineando come questa sia una problematica che si verifica maggiormente nei soggetti giovani che svolgono sport e negli anziani.

Questo è un tipo di infortunio che implica la rottura di una, o entrambe le ossa dell’avambraccio a livello del polso.

L’avambraccio è formato da due ossa, il radio e l’ulna. Se si rivolge il palmo della mano verso l’alto, l’ulna è l’osso più interno dell’avambraccio e forma un’articolazione con l’omero a livello del gomito mentre, a livello del polso, si articola con otto piccole ossa del carpo.

Parliamo di frattura di Colles in riferimento alla frattura della epifisi distale del radio, con associato il distacco della stiloide ulnare, che si verifica in seguito ad una violente caduta a braccio esteso sul palmo della mano, provocando la rottura dell’osso del polso.

In caso di forte caduta, se la resistenza scaricata supera la resistenza elastica dell’osso, potrebbe verificarsi una frattura.

Questo tipo di trauma si verifica spesso insieme ad altre lesioni come ad esempio distorsione o lussazione del polso o del gomito.

È possibile classificare la frattura dell’ulna e radio in:

  • Frattura composta: in questo caso lo spostamento dei frammenti ossei è minore del 30%, quindi le ossa mantengono il loro originale allineamento anatomico. Sarà necessario l’utilizzo di un tutore o l’applicazione del gesso nella zona interessata.
  • Frattura scomposta: qui lo spostamento dei frammenti ossei è maggiore del 30% o va oltre i 10-15° di angolazione. In questa circostanza, lo specialista valuterà se risolvere con un intervento chirurgico.

Gli anziani (generalmente dai 60 anni in sù) sono più esposti a frattura ad ulna e radio in quanto la loro struttura ossea è più debole ed è quindi più facile che subiscano traumi da caduta.

Sintomi e conseguenze

Uno dei principali sintomi legati ad una frattura ad ulna e radio è il dolore forte al polso o all’avambraccio nel momento stesso della caduta. I sintomi potrebbero stabilizzarsi rapidamente e il dolore potrebbe intensificarsi durante la notte o al mattino appena svegli.

Oltre all’inteso fastidio, la zona interessata potrebbe anche gonfiarsi.

In caso di grave trauma, come ad esempio lo spostamento osseo, il paziente potrà notare una deformità nella regione in questione.

Alcune conseguenze possono essere:

  • La sindrome del tunnel carpale;
  • La perdita di forza e sensibilità al pollice, indice e medio;
  • Artrosi a livello del polso;
  • Rottura di un tendine;
  • Rigidità del polso e della dita;
  • Morbo di SUdeck;
  • Algodistrofia.

I tempi di recupero dopo una frattura ad ulna e radio dipendono dalla gravità del trauma stesso, dall’età del paziente e dalle terapie che si effettuano. Mediamente, in un soggetto giovane il periodo di ripresa può essere di 2/3 mesi mentre in un soggetto di età avanzata può essere di 5/6 mesi.

Frattura scomposta del radio e ulna nei bambini

Questo tipo di frattura è molto frequente nei bambini e rappresenta circa il 40% delle fratture in età infantile.

La rottura sia dell’ulna che del radio, viene definita frattura biossea dell’avambraccio.

La frattura radio e ulna nei bambini ha caratteristiche differenti rispetto a quella nell’adulto in quanto le ossa e la cartilagine in età infantile sono in fase di crescita.

Ai bambini può essere diagnosticata una frattura a legno verde che consiste nella lesione della parte interna dell’osso ma il periostio rimane intatto.

Le fratture nei bambini subiscono un naturale rimodellamento nel tempo (al contrario dell’adulto) e questo comporta una spontanea correzione di alcune deviazioni residue durante il periodo della maturazione scheletrica.

Spesso la consapevolezza della rapida guarigione della frattura nel bambino, può portare a sottovalutare la reale gravità del trauma subito.

La terapia è quasi sempre di tipo conservativa e prevede l’implementazione dell’apparecchio gessato per circa 3-4 settimane.

I tempi di recupero variano da individuo ad individuo e qualunque tipo di attività fisica dovrà essere ripresa con cautela e progressivamente.

Frattura del piede: sintomi, diagnosi e cura

Il piede possiede 26 ossa ed è diviso in tre regioni:

  • Tarso (regione posteriore);
  • Metatarso (regione intermedia);
  • Falange (le ossa delle dita).

Il piede, inoltre, è composto da una complessa struttura fatta di legamenti e tendini e qualsiasi lesione che coinvolga parta di questa struttura, può intaccare il movimento del piede e determinare deformità e difficoltà nello svolgere semplici azioni quotidiane. 

I traumi a cui può essere sottoposto il piede sono diversi e diverse possono essere le cause. 

Nel coinvolgimento di una o più ossa, possiamo distinguere diverse tipologie di fratture che possono essere composte (le due parti di osso restano nella loro naturale sede anatomica) o scomposte (i segmenti ossei sono fuori posto rispetto alla loro naturale sede e non sono più allineati).

Le fratture più frequenti sono quella del metatarso e dello scafoide (frattura collo del piede), mentre la meno grave (microfrattura al piede) è quella delle falangi perchè di facile ricomposizione. 

Invece, tra le fratture più complesse troviamo quelle all’astragalo (osso che collega calcagno e tibia-perone) e del calcagno. 

Cause e sintomi della rottura del piede

Ma quali sono le cause più frequenti relative alla frattura del piede?

  • Incidenti;
  • Traumi sportivi;
  • Cadute
  • Stress causato da usura e movimenti ripetitivi;
  • Osteoporosi che causa fragilità alle ossa con conseguenti lesioni senza particolari traumi. 

A seconda del punto di lesione, i sintomi generici possono essere:

  • Difficoltà nel reggersi in piedi;
  • Gonfiore nella zona interessata;
  • Comparsa di ematoma;
  • Dolore inteso;
  • Fuoriuscita dell’osso.

Se uno o più sintomi dovessero presentarsi in seguito ad un trauma, è importante recarsi il prima possibile da un ortopedico specialista per potersi sottoporre ad un trattamento adeguato.

Nella maggior parte dei casi, ci si dovrà sottoporre ad una radiografia che consente di visionare la presenza di fratture e di individuarne la sede. In altri casi è necessario effettuare ulteriori esami come la Tac o la risonanza magnetica.

Trattamenti frattura del piede

A seguito della frattura al piede, la prima cosa da fare è applicare del ghiaccio ed immobilizzare la zona affinché il dolore possa ridursi. In alternativa si può assumere un antidolorifico.

Per determinate tipologie di fratture, si dovrà ricorrere al gesso per immobilizzare la zona d’interesse.

In casi estremi è necessario sottoporsi ad un intervento chirurgico, il cui scopo è quello di ricomporre i frammenti e saldare con viti metalliche, perni o piastre che saranno poi rimosse dopo la fase di guarigione.

Fondamentale sarà la riabilitazione fisioterapica in quanto aiuterà a ristabilire la giusta configurazione dei movimenti e a rinforzare la struttura muscolare.

Schiacciamento vertebre: cause, sintomi ed esercizi utili

Schiacciamento delle vertebre: cosa si intende?

Lo schiacciamento delle vertebre (o sciatica) è connesso anche alla deformazione vertebrale e quindi alla scoliosi, patologia che può presentarsi sia in età infantile che in età avanzata. Puoi approfondire questo argomento leggendo il nostro articolo sulla deformazione vertebrale.

Prima di parlare dell’argomento principale, è necessario analizzare alcuni concetti basici di anatomia per poter comprendere a pieno la patologia in questione.

La colonna vertebrale (anche definita rachide o spina dorsale) è la struttura portante del nostro corpo, incaricata di sorreggerlo.

La nostra spina dorsale è composta da 33 vertebre e sono a loro volta suddivise in 5 aree:

  • 7 vertebre nella zona cervicale (le vertebre vanno dalla C1 alle C7) ;
  • 12 vertebre nella zona dorsale (le vertebre vanno dalla T1 alla T12);
  • 5 vertebre nella zona lombare (le vertebre vanno dalla L1 alla L5);
  • 5 vertebre nella zona sacrale (le vertebre vanno dalla S1 alla S5);
  • 4  vertebre nella zona del coccige (le vertebre vanno dalla Co1 alla Co4).

Tra una vertebra e l’altra (tranne per quelle sacrali e coccigee) ci sono i dischi intervertebrali, fondamentali per il benessere della colonna in quanto ammortizzano la pressione a cui quotidianamente è sottoposta e le conferiscono mobilità.

Le possibile cause di vertebre accavallate possono essere:

  • Traumi alla colonna vertebrale dovuti, ad esempio, ad incidenti automobilistici o sportivi;
  • Osteoporosi;
  • Artrosi;
  • Postura scorretta;
  • Eccessivi sforzi.

I possibili sintomi delle vertebre schiacciate:

  • Debolezza e dolore nella zona interessata che può aumentare anche durante semplici movimenti;
  • Formicolio alle gambe;
  • Spasmi muscolari;
  • Mobilità limitata

Schiacciamento vertebre lombari e schiacciamento vertebre cervicali.

La zona lombare e cervicale subiscono lo schiacciamento in maniera analoga, ciò che le differenzia sono i sintomi.

Per le vertebre cervicali, il sintomo rilevato riguarderà la zona cervicale soggetta a dolori anche svolgendo semplici movimenti quotidiani. È possibile avvertire dolore anche al braccio.

Lo schiacciamento delle vertebre lombari si verifica in seguito ad una frattura dovuta alla compressione di una vertebra in seguito ad un trauma specifico. L’avvicinamento di due o più vertebre prevede lo schiacciamento dei dischi intervertebrali.

Il disco intervertebrale compreso tra le vertebre l5 e s1 insieme a quello posto tra l4 e l5, sono i più colpiti da un processo di degenerazione. Questo è dovuto al fatto che si trovano nella zona più bassa della schiena e risentono maggiormente delle forze verticali. 

In caso di vertebre l4 l5 schiacciate, parliamo di discopatia ovvero un processo di degenerazione a carico del disco intervertebrale interposto tra la quarta e la quinta vertebra lombare. Questo disturbo è meno frequente rispetto alla discopatia l5 s1 (che riguarda la quinta vertebra lombare e la prima sacrale), nonostante siano patologie molto simili.

I sintomi dello schiacciamento delle vertebre l5 s1 sono dolore lombare, rigidità della zona lombare, dolore nei movimenti di flessione, estensione, torsione o inclinazione.  

Le generiche conseguenze dello schiacciamento delle vertebre lombari sono: dolore a livello lombare, limitata mobilità, tensione muscolare.

A seconda del caso, uno specialista riuscirà a definire la giusta soluzione volta alla risoluzione del problema.

Esercizi per lo schiacciamento delle vertebre lombari: come alleviare i dolori

Ridurre la rigidità e migliorare la prestazione muscolare, sono gli obiettivi da raggiungere per attenuare i dolori e migliorare la condizione del paziente.

In uno stato primordiale, si possono eseguire alcuni esercizi mirati:

  • Allungamento della catena posteriore: riduce la rigidità dei muscoli posteriori;
  • Allungamento dell’ipsoas: se l’ileo ipsoas è eccessivamente contratto, rischia di aumentare la forze di compressione sulla colonna vertebrale;
  • Rinforzo dell’addome: i muscoli addominali sono fondamentali per stabilizzare la colonna.

Vertebra schiacciata cosa fare?

La cura per vertebre schiacciate è mirata o a conservarla, limitando ogni tipo di peggioramento, o ad un trattamento definitivo chirurgico.

Quando possibile, il medico specialista potrà prescriverti farmaci antidolorifici e/o infiammatori da assumere per un periodo limitato.

Un’altra soluzione può essere quella di utilizzare un busto ortopedico.

Generalmente, anche diverse sedute di fisioterapia possono apportare benefici a lungo termine grazie ad esercizi mirati e alla rieducazione postulare.

In caso di paziente soggetto a rottura di dischi intervertebrali o a fratture vertebrali, l’intervento sembra essere l’unica soluzione efficace.

Uno specialista in ortopedia o traumatologia potrà seguire il soggetto nel percorso diagnostico e terapeutico.

Cifosi: patologica curvatura della colonna vertebrale

In un nostro precedente articolo abbiamo parlato di deformazione vertebrale e di come poter correggere in parte la scoliosi. Ora tratteremo il tema della cifosi, una curvatura fisiologica della colonna vertebrale che può diventare patologica.

Il  termine “cifosi” indica la curvatura in avanti della colonna vertebrale che, se è eccessivamente accentuata, viene definita “ipercifosi”, una curvatura patologica.

Le curve della colonna vertebrale aiutano a mantenere in equilibrio il peso del corpo e a conferirne flessibilità.

Affinché la cifosi resti una condizione “normale” deve rispettare un limite che va dai 20° ai 45°. Superati i 60°, si parla di ipercifosi.

L’ipercifosi può peggiorare altre problematiche posturali come, ad esempio, l’iperlordosi o la scoliosi. Per questo, è importante che ogni caso venga trattato da un ortopedico o da un fisioterapeuta specialista che sarà in grado di valutare la situazione a seconda delle caratteristiche del paziente.

L’origine più comune di questa deformazione è da ritrovare nella postura, specialmente negli adolescenti, e in questo caso si tratta di un atteggiamento cifotico (un difetto posturale) e non della patologia vera e propria.

È possibile effettuare una diversificazione delle diverse tipologie di cifosi:

  • Cifosi cervicale;
  • Cifosi dorsale;
  • Cifosi toracica;
  • Cifosi lombare

Quali sono i sintomi della cifosi?

Il principale sintomo visivo è l’inarcamento della colonna; la schiena acquisisce una posizione gobba e, nei casi più gravi, il collo, le spalle e la testa sono molto inclinati in avanti.

L’ipercifosi può causare anche:

  • Dolore alla schiena, specialmente nella zona superiore;
  • Difficoltà respiratorie;
  • Frequente formicolio alle braccia e alle gambe.

Questa condizione può peggiorare con l’avanzamento dell’età, soprattutto se non viene effettuato alcun tipo di trattamento.

Quali sono le cause?

Questa anomalia può nascere in seguito ad un indebolimento delle ossa spinali dovuto, ad esempio, all’osteoporosi.

Quest’ultimo è una malattia metabolica ossea che si caratterizza per il progressivo deterioramento della struttura del tessuto osseo.

Ne consegue la fragilità del sistema scheletrico che, anche in seguito a lievi traumi, può subire fratture profonde.

Altre possibili cause possono essere:

  • Morbo di Scheuermann: la causa più frequente di cifosi non postulare. Questa patologia è rappresentata da alterazioni di alcune vertebre dorsali che causano un disallinaemento della colonna vertebrale;
  • Cifosi congenita: si tratta di una naturale malformazione delle vertebre fin dalla nascita;
  • Post trauma: ci riferiamo a fratture che portano all’appiattimento delle vertebre;
  • Processi degenerativi: come, ad esempio, l’osteoporosi o l’artrosi:
  • Dolori  neuromuscolari: si tratta di cause più rare che derivano ad esempio da una paralisi cerebrale, distrofie muscolari, mielomeningocele e così via;
  • Stress e/o depressione.

La cifosi dorsale

Si parla di cifosi dorsale quando il paziente presenta una curvatura superiore ai 45° della scala Cobb.

I sintomi della cifosi dorsale possono essere i seguenti:

  • Dolore alla schiena;
  • Debolezza muscolare;
  • Formicolio agli arti inferiori e/o del tronco;
  • Rigidità della colonna vertebrale.

In particolare modo, i sintomi della cifosi dorsale si manifestano in maniera visibile attraverso le spalle che gradualmente si sporgono in avanti fino a mantenere fissa questa inclinazione.

La cifosi rigida si presenta quando il tratto dorsale perde la sua mobilità, in modo specifico in estensione. Ciò comporta:

  • Limitazione del movimento nel tratto dorsale;
  • Possibili contratture muscolari;
  • Sovraccarico delle vertebre lombari e cervicali, che si trovano nella situazione di dover compensare il movimento ridotto della zona dorsale).

La cifosi cervicale

Il collo è caratterizzato da una leggera curvatura in avanti, definita lordosi cervicale. Quest’ultima è la fisiologica curvatura che può essere più o meno accentuata, a seconda del soggetto di riferimento.

In alcuni soggetti le vertebre del collo tendono all’indietro piuttosto che in avanti e questo è il tipico caso di cifosi cervicale.

Se la problematica non è ad un livello avanzato, parliamo semplicemente di una tendenza alla cifosi cervicale.

Quest’ultima non reca gravi dolori o sintomi, si tratta di un atteggiamento posturale che posseggono le vertebre. A dimostrazioni di questo, è stato riscontrato che molte persone hanno una cifosi cervicale ma non ne sono a piena conoscenza.

I sintomi della cifosi cervicale possono essere:

  • Tensione muscolare;
  • Disturbi visivi che prescindono dalla vista;
  • Senso di pesantezza alla testa;
  • Rigidità al collo;
  • Difficolta di concentrazione e/o vergini.

Come curare la cifosi?

La cura per la cifosi varia a seconda del livello di gravità che caratterizza il paziente. 

Nel caso del dorso curvo, nella fase primordiale si consiglia un trattamento di rieducazione posturale, per rinforzare la colonna vertebrale.

Potremmo dire che la rieduzionazione postulare è consigliata in tutti i casi in quanto, oltre a controllare il dolore causato dalla cifosi, migliora l’equilibrio e l’armonia del proprio corpo.

L’attività fisica è un ausilio importante per il paziente colpito da una lieve cifosi. In questo caso, l’obiettivo principale è di rinforzare la muscolatura della schiena e degli addominali, rendendo più flessibile la colonna vertebrale. Questi fattori sono fondamentali per migliorare la postura.

Rinforzare i muscoli della colonna, aiutano a prevenire lesioni ed instabilità delle vertebre.

Per i casi di media gravità, sono indicati i trattamenti di fisioterapia che aiutano a riallineare la colonna.

Nel caso di un livello più avanzato di cifosi, sarà necessario l’uso di un corsetto ortopedico su sottoscrizione medica.

La durata dell’utilizzo deve essere stabilita da uno specialista in seguito ad un’accurata analisi del paziente. Generalmente, si consiglia di indossarlo circa 20 ore al giorno.

Il corsetto non eliminerà alla radice il problema, ma è un modo per contenerlo, impedendo ulteriori aggravamenti. Questa soluzione è adatta sopratutto ai soggetti che sono ancora in fase di crescita, in quanto in questo periodo la curvatura tende a peggiorare.

In caso di curvatura più pronunciata, nello specifico superiore ai 60 gradi, bisogna ricorrere alla chirurgia.Tendenzialmente, questa soluzione viene suggerita ai pazienti anziani o affetti da cifosi congenita.

Le possibili tecniche utilizzabili sono varie e vengono selezionate in base alla situazione del paziente.

La cifosi è una patologia grave, per questo trattarla e curarla è indispensabile per la tua salute!

Se dovessi avvertire uno dei sintomi descritti in questo articolo, consulta un ortopedico specialista per sottoporti ad una diagnosi accurata.

Borsite del calcagno: cause, sintomi e cura

La borsite del calcagno è un’infiammazione che colpisce il tallone, nota anche come borsite del tallone o borsite retrocalcaneare.

Abbiamo già parlato in precedenza del tallone, in particolare della frattura del tallone e di tutto ciò che ne consegue in termini di sintomi, cause e trattamento.

Oggi ci occupiamo di un altro fenomeno che colpisce il tallone: la borsite.

Borsite calcagno cos’è

La borsite calcaneare consiste in un fenomeno infiammatorio a carico della borsa sierosa situata tra il tendine d’Achille e il calcagno, ossia l’osso del tallone.

Si tratta di una patologia che, seppur benigna, può essere fortemente invalidante per chi ne soffre.

Infatti, questa infiammazione si manifesta con un dolore molto intenso e il calcagno gonfio e arrossato.

Inoltre, le borsiti del calcagno possono presentarsi insieme ad altre patologie, come il morbo di Haglund, il piede cavo o la spina calcaneare.

I soggetti che ne vengono più facilmente colpiti sono coloro che utilizzano scarpe scomode o inadatte al proprio piede o plantari troppo alti.

Borsite del calcagno cause

La borsite al tallone può essere la conseguenza di una serie di fattori anatomici, anche congiunti, quali:

  • la spina calcaneare, ossia una neoformazione ossea benigna, che si sviluppa nella zona inferiore del tallone; in genere, questa tende a formarsi nella parte mediale del calcagno e colpisce i soggetti dai 40 anni in su;
  • il morbo di Haglund, il quale consiste in un’infiammazione dolorosa del tallone e che può derivare da un’eccessiva prominenza della zona posteriore del calcagno, dove si innesta il tendine d’Achille;
  • il piede cavo, cioè una malformazione della volta della pianta del piede, che può essere congenita o acquisita.

Altre cause di tipo esterno e non anatomico possono essere:

  • l’utilizzo di scarpe non adatte;
  • l’utilizzo di calzature o plantari troppo alti, che alzare in modo eccessivo il tallone;
  • allenamenti troppo intensi.

Borsite calcagno sintomi

La borsite del calcagno si caratterizza per avere una sintomatologia molto specifica, la quale peggiora con l’avanzare dell’infiammazione.

I sintomi che si manifestano in presenza di una borsite sono:

  • un dolore intenso durante la camminata, quando si muove la caviglia o quando si preme sul calcagno;
  • sensazione di gonfiore nella zona del calcagno;
  • arrossamento del calcagno e sensazione di calore.

La diagnosi di borsite avviene attraverso l’analisi dei sintomi e l’esame obiettivo.

In genere, si provvede all’esecuzione di esami strumentali, come ecografia e radiografia, in modo da evitare che possa essere confusa con altre patologie, come tendinosi del piede e infiammazione del tendine d’Achille.

Borsite del calcagno cura

Per individuare la cura più indicata per la borsite, bisogna individuarne la causa scatenante.

Consigliamo una soletta che consente di scaricare la tensione muscolare con conseguente riduzione del dolore

Se questa consiste in elementi esterni e non anatomici, come l’utilizzo di scarpe inadatte, allora si consiglia:

  • l’utilizzo di scarpe ortopediche apposite per le patologie del tallone, che di solito riportano un’apertura nella zona posteriore della calzatura;
  • il ricorso a gel e a farmaci antinfiammatori;
  • l’applicazione di ghiaccio, per aiutare a ridurre il gonfiore; 
  • assoluto riposo, in modo da evitare di premere sul calcagno e aggravare l’infiammazione.

Quando la patologia è particolarmente accentuata, allora può essere necessario ricorrere a terapie specifiche, come:

  • mesoterapia;
  • infiltrazioni;
  • intervento di rimozione della borsa.